Quando ho saputo che il tema di “Identità Golose” di quest’anno era il fattore umano, ho voluto partecipare, non nella speranza che si parlasse di insetti commestibili o che gli insetti potessero far parte di qualche workshop o ricetta, in programma non c’era nulla di ciò, ma perché la mia presenza potesse rimarcare uno degli aspetti fondamentali che la nostra rivista promulga: “l’uomo al centro di ogni scienza e di ogni pensiero”.
La nostra redazione è guidata da questo spirito, quando parliamo di entomofagia, lo facciamo parlando sempre degli uomini e delle donne che stanno dietro questo stile di vita che sembra così lontano ma in realtà è stato solo dimenticato. Non pretendiamo di essere mentori di uno stile di vita migliore, semplicemente interfacciamo l’uomo ad un passato dimenticato.
Lo facciamo con la consapevolezza che oggi la ricerca di un passato è l’unica fonte di certezza per una società che vacilla nel vuoto e che nel cibo ha trovato un nuovo strumento di identità (diciamo nuovo, per quanto esso lo sia sempre stato), che impone riflessioni sia con i propri limiti che con quelli della Terra.
Quando parliamo di entomofagia, non parliamo semplicemente di persone che allevano o consumano insetti, ma che traggono ispirazione dal mondo che li circonda, che si relazionano con il loro sistema naturale, che traggono vantaggi con consapevolezza, ma sopratutto traggono vantaggi con un orizzonte che invece viene continuamente ignorato: l’agire con prospettiva.
Questa manifestazione nasce con questo spirito, certo non è mancata quella concezione iperbolizzata del super-uomo che oggi è trasmigrata nello chef. Se il cibo oggi è il nuovo strumento di consapevolezza per un futuro più certo, è vero anche quel che dice Carlo Petrini “gli chef devono stare in cucina non in televisione”… ma c’è anche bisogno di guide che insegnino ad usare gli strumenti della consapevolezza alimentare.
Certo non voglio enfatizzare il ruolo dello Chef-divo, ma se come ricordava Gualtieri “La cucina è di per sé scienza, sta al cuoco farla divenire arte”, non sarà un’eresia se ricordo quanto l’arte abbia plasmato la società, quindi artisti: cucinate, tenete in mano gli strumentai del mestiere, perché è ciò che potrà riportare l’uomo ad apprezzare il cibo per quello che è, semplicemente una relazione tra saperi e sapori, anche se in questa relazione non tutto è permesso, per il bene dell’uomo stesso e della Terra.
Un agronomo ha maggiori difficoltà di uno chef, perché l’arte ha maggiore influenza sulle persone, ma sopratutto può interagire influenzando i saperi con l’arma più potente: i sensi. Per quanto evolva l’uomo rimane “concettualmente” primordiale nel soddisfare i suoi desideri, un piatto “buono, semplice e giusto” è più potente di qualsiasi divulgazione scientifica.
L’esperienza più bella che ho portato a casa è stata quella vissuta con un Maestro di sushi, che dopo avermi deliziato con il sushi più buono della mia vita, ha ascoltato mentre gli parlavo di me e della nostra redazione.
La cosa più simpatica dell’incontro (forse preso da un pizzico di voglia di provocazione, la cui colpa è dello stand S. Pellegrino e i fantastici cocktails che offrivano) è stata l’avergli proposto del sushi con insetti … la faccia che ha fatto lo chef non mi ha sorpreso più di tanto, mi ha divertito, perché era la stessa che fece mia madre la prima volta che le parlai di sushi!
Questo ci ricorda che nulla è mai stato solo tradizione, prima di essere tale è stato innovazione. L’innovazione non è mai stato un problema, il problema è come l’abbiamo travisata, mal interpretata e messa in atto creando una società basata sui numeri, società in cui l’uomo ha perso la sua centralità.
Quindi se decidete di visitare Identità Golose alla prossima edizione (o vi troverete nel frattempo in altre occasioni), non indignatevi davanti a spaghetti accompagnati con un gelato se quelle materie prime sono nate da una relazione profonda con il territorio, senza intendere “relazione” con il riduttivo concetto di km zero, ma relazione intesa nella sua visione più ampia, di quel concetto di Carlo Petrini “sano, pulito e giusto”
Quel piatto quindi ha da dire qualcosa, quel qualcosa legato al territorio, alle capacità dello chef, alla sua arte, magari può non piacere, magari sarà troppo innovativo, ma rimane quello che è: cibo! Quindi per giudicarlo…mangiatelo!