L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) ha stimato che l’entomofagia, cioè il consumo di insetti da parte dell’uomo, è una pratica alimentare seguita da circa 2 miliardi di persone nel mondo (AA.VV., 2013).
Dalla preistoria fino ai giorni nostri gli insetti sono sempre stati una fonte alimentare tradizionale in molti Paesi dell’Asia, dell’America Centrale e dell’Africa, con oltre 2.000 specie riconosciute commestibili per il consumo umano (AA.VV., 2013; Belluco et al., 2013; Caparros et al., 2014; Yen, 2015). Nei paesi occidentali, invece, la maggioranza della popolazione rifiuta l’idea di adottare gli insetti come cibo principalmente per motivi culturali (AA VV., 2013; De Foliart, 1999; Yen, 2010; Mlcek et al., 2014; Tan et al., 2015). Gli insetti vengono consumati a tutti i vari stadi di crescita (uova, larve, crisalidi e adulti) e la maggior parte di questi viene raccolta in natura. Per questa ragione sono disponibili pochi dati sulle quantità effettivamente consumate.
Secondo Jongema (2015), tra le 2.037 specie consumate, la maggior parte appartiene al gruppo dei coleotteri, cioè gli scarabei (634), a seguire i lepidotteri, ossia i bruchi (359), poi gli imenotteri rappresentati da api, vespe e formiche (302), gli ortotteri quindi cavallette, locuste e grilli (279), seguiti dagli emitteri, cicale, cicaline, cocciniglie e cimici (220). Infine le specie meno consumate fanno parte del gruppo degli Isotteri, cioè le termiti (63), degli odonati (60) (libellule) e dei ditteri (35) (mosche) (Figura 1).
Sebbene ad oggi siano documentati i benefici sociali, economici, ambientali e nutrizionali dell’utilizzo degli insetti nella dieta alimentare, soprattutto in sostituzione di altri prodotti proteici (AA. VV., 2013), la società occidentale considera generalmente gli insetti come cibo di emergenza, di basso prestigio e specifico dei Paesi poveri (MacClancy et al., 2007).
Alcune ricerche (Martins e Pliner, 2007; Shösler et al. 2012) hanno identificato i fattori responsabili dell’avversione ad accettare il consumo di insetti: dalle caratteristiche sensoriali (gusto e consistenza spiacevoli), alla paura di rischi per la salute. Tuttavia, come sottolinea van Huis (2013), le preferenze alimentari non sono permanenti e possono cambiare nel tempo, come è avvenuto in passato con l’accettazione del sushi giapponese nel mondo occidentale.
Come suggerito da Martins e Pliner (2007) un modo per stimolare la volontà di consumare nuovi alimenti di origine animale (come nel caso degli insetti commestibili) è diminuire la percezione di disgusto, soprattutto per le caratteristiche sensoriali.
A seguito di un’ampia revisione della letteratura, si è osservata la scarsità di studi sperimentali su questo argomento associata ad una fase di assaggio (Caparros et al., 2014; Tan et al., 2015, Looy e Wood, 2006; Lensvelt e Stenbekkers, 2014). In particolare vi è il bisogno di ricerca sociale per approfondire la conoscenza dell’entomofagia nei paesi occidentali (Looy et al., 2014), dove si è manifestato un crescente interesse negli ultimi anni (Sogari e Vantomme, 2014; Sogari, 2015).
L’obiettivo principale di questo studio è indagare le motivazioni alla base del consumo/non consumo di insetti in futuro ed esplorarne gli aspetti sensoriali a seguito di un assaggio.
Leggi il documento completo dell’Analisi sui consumatori italiani e l’entomofagia