Intervista a Francesco Faccin, designer
In Occidente stiamo scoprendo (o ri-scoprendo) il senso di una alimentazione più sana, più sostenibile e integrata da cibi che fino a ieri consideravamo stranezze esotiche, come gli insetti ad esempio.
Il fatto che tutto questo sia arrivato a suggestionare i designer è sintomo di una imminente diffusione di massa dell’interesse?
Quello degli insetti da mangiare a mio avviso è un argomento che riguarda soprattutto il tema della sostenibilità. Chi consuma carne, non può più farlo senza interrogarsi sulle conseguenze devastanti che provoca l’industria degli allevamenti industriali. Sono convinto come molti che le proteine animali siano necessarie e la soluzione non possa essere quella, inverosimile, di diventare tutti vegetariani, ma piuttosto di trovare strade intelligenti, nuove, di produrre cibo che fornisca elementi nutrizionali fondamentali senza impattare sull’ecosistema.
Quindi se si parla di insetti nell’alta cucina mi interessa poco l’argomento, se invece parliamo di insetti come alternativa alla carne industriale o per la produzione di farine allora vedo un potenziale enorme.
Tu hai progettato e realizzato un terrario per l’allevamento domestico di insetti commestibili, come ti è venuta l’idea?
Il progetto “allevamento Domestico” è nato perché sono stato invitato a partecipare alla mostra “Le affinità selettive” in Triennale a cura di Aldo Colonetti intorno al tema del cibo (per Expo). Da tempo mi interesso di insetti (ho progettato un’arnia per l’apicoltura urbana in funzione nel giardino della Triennale) e mi è venuto naturale pensare ad un oggetto che possa aprire a scenari futuribili sempre legato agli insetti. Dobbiamo immaginare scenari di autosufficienza alimentare slegati dalle multinazionali e con gli insetti si può. Forse non sarà un allevamento domestico ma di condominio…o di quartiere…
Qual è il significato di un oggetto come questo?
Di rompere pregiudizi e ritrosie, di spingere a pensare che se vogliamo migliorare le cose dobbiamo cambiare abitudini anche in maniera radicale.
Hai progettato e realizzato anche un alveare con un forte valore estetico, pratico e didattico. Questi due oggetti sono stati uno la conseguenza dell’altro?
Sì sicuramente il fatto di avere la testa nel mondo degli insetti mi ha permesso di vedere la cosa da vari punti vista ma sempre come designer. Ho lavorato con un apicoltore e con persone esperte di insetti e come al solito le contaminazioni di campi diversissimi sono fondamentali per aprire nuove visioni e abbandonare strade sicure.
Pensi che possa esserci un mercato per prodotti destinati all’allevamento domestico di insetti commestibili?
Assolutamente sì. A partire da tutti quei paesi dove già abitualmente si consumano. Da noi ci vorrà tempo ma si arriverà a capire che non ci sono alternative.
Quanto è importante l’estetica, in senso lato, per farci riavvicinare agli insetti?
Credo che banalmente, il consumo di insetti interi che scrocchiano sotto i denti sarà difficile da far “digerire” almeno in paesi dove l’insetto non si è mai consumato; le farine per esempio sono una strada interessantissima e psicologicamente molto più accettabile.
Qual è il tuo rapporto con l’idea di mangiare un insetto?
Mi piace sperimentare tutto e in tutti i viaggi ho mangiato quello che la cultura locale mi offriva. In Tailandia ho provato ogni tipo di insetto caramellato, tostato, crudo…in Messico ho mangiato spesso le Chapulines (cavallette) fritte che mi piacciono moltissimo! Sono convinto che il problema sia solo culturale e la cultura, ovunque, è (deve essere) fluida e in continua trasformazione.