Intervista con il Dr. Francesco Caprio, fondatore di Bioconversion
Quando e come è nata l’idea Bioconversion?
L’idea alla base di Bioconversion nasce nel 2009, in un periodo in cui lavoravo alla ricognizione di soluzioni ottimali per minimizzare l’impatto delle deiezioni animali di un allevamento semiestensivo in Svizzera, grazie ad una fortuita associazione di idee, mentre osservavo dei suini all’nterno dell’allevamento stesso in tarda primavera. I suini, che erano lasciati liberi di alimentarsi a ridosso dei boschi e dei pascoli dedicati alle vacche, ricercavano avidamente alcune larve presenti nelle masse di letame sparse come integrazione della loro dieta, pensai che la soluzione andava ricercata in una corretta gestione di questo imponente flusso di reflui, possibilmente valorizzando il residuo di processo attraverso l’uso degli insetti. In un contesto economico come quello presente nei Grigioni (CH), nel quale l’allevamento rappresenta un fondamentale settore di interesse, decisi di investire nella ricerca di un sistema razionalizzato, che potesse imbrigliare l’incredibile capacità di conversione in biomassa che le mosche sono in grado di attuare con il letame, per poter ottenere un sottoprodotto valorizzabile come ammendante ed un flusso di biomassa da reinserire nella catena alimentare zootecnica, proprio come avviene in natura. Grazie alla collaborazione di una piccola società privata di ingegneri di Bari, nasce l’idea, che oggi è un brevetto internazionale, di “ingegnerizzare” l’allevamento delle mosche saprofaghe, in un ciclo modulare ripetibile all’infinito, all’interno di sistemi elettromeccanici per il trattamento dei rifiuti organici.
L’applicazione industriale di processi di bioconversione dei rifiuti mediata dagli insetti è ancora in una fase di studio o è concretamente sperimentata anche su larga scala?
Attualmente non esistono su larga scala esempi di trattamenti industriali dei residui organici basati sull’uso di insetti, ma molto presto il crescente interesse per questo tipo di trattamento permetterà a società come la nostra di catapultare il mondo in una nuova era della gestione dei residui organici, grazie alla diffusione di sistemi modulari come quelli in scala 1:1 che uso in laboratorio, con i quali è concretamente possibile convertire in cicli di 15 giorni un flusso di rifiuti organici, con risultati ormai prevedibili e standardizzati. Il trasferimento a livello industriale di questa tecnologia richiede però ancora qualche anno di attesa.
Su quali specie di insetti si è concentrata la ricerca e perché?
Come ho già accennato la nostra attenzione è focalizzata sui ditteri saprofagi e nello specifico si è concentrata sulla specie Hermetia illucens, mosca tropicale diffusa in tutte le zone temperate, caratterizzata da molteplici aspetti etologici, che la rendono quasi del tutto innocua in ambienti antropizzati sia dal punto di vista parassitologico sensu stricto, sia dal punto di vista microbiologico, risultando inoltre addirittura utile per l’abbattimento di cariche microbiche patogene presenti nelle matrici organiche e per la (bio) disinfestazione da Musca domestica.
Avete o avete avuto partners scientifico-istituzionali che vi hanno affiancati nel progetto?
Bioconversion Srl nasce in un contesto di partenariato all’interno dell’incubatore Tecnopolis PST, successivamente alla mia partecipazione, con un piccolo team di colleghi veterinari, all’edizione 2010 di Start Cup Puglia, dove presentammo un progetto di bioconversione dei rifiuti organici, mediato da Hermetia illucens, in sottoprodotti valorizzabili commercialmente. Il progetto arrivò in finale, ma la giuria trovò la nostra idea troppo acerba sotto il profilo imprenditoriale, perfino per una competition di idee innovative. A distanza di quattro anni abbiamo appreso con sommo piacere che un altro team pugliese è riuscito vincere il primo premio dell’edizione 2014 con un’idea iprenditoriale basata sull’utilizzo delle farine di H. illucens nella mangimistica itticola. Segno questo che il sistema di incubazione, promosso dai parchi scientifico tecnologici come quello di Bari, è necessario affinchè tecnologie così innovative possano permeare la società civile.
Che tipo di substrati sono stati utilizzati nelle sperimentazioni?
In circa sei anni di attività abbiamo avuto modo di testare centinaia di substrati (dai fanghi di depurazione ai residui organici digestati nei reattori a biogas, passando per i residui delle lavorazioni agroalimentari quali ad esempio quelli lattiero caseari, quelli derivanti dalla lavorazione del caffè, gli scarti di ristorazione ed i letami) all’interno di protocolli di bioconversione, utilizzando le fasi larvali giovanili di Hermetia illucens. Abbiamo pertanto verificato che la maggior parte degli scarti organici prodotti nel nostro contesto sociale possono essere, se opportunamente gestite, trattate con questo straordinario dittero, per ridurne il volume, biostabilizzarne l’indice respirometrico e quasi sempre ottenere un ammendante di valore. Nel 2013 abbiamo condotto una sperimentazione per conto del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari, in un progetto finanziato dalla Regione Puglia, per la creazione di protocolli di trattamento innovativi per le carcasse animali ed abbiamo potuto dimostrare come sia possibile gestire anche queste “matrici difficili” con la tecnologia eCORS.
Quali sono i problemi, in senso lato, che avete dovuto affrontare durante il percorso?
All’inizio sono state le ristrettezze economiche a rappresentare un problema per la crescita del progetto, ho personalmente investito i pochi risparmi che avevo per affrontare le spese di progettazione e successivamente di deposito del brevetto. In un secondo tempo, grazie al parco Tecnopolis PST di Bari siamo riusciti a raggiungere un primo round di finanziamento della start up da parte di una “seed founding company” di imprenditori baresi, che ci ha permesso di testare dei prototipi in scala 1:1 del nostro sistema eCORS. Tuttavia con il nuovo socio la cose non sono andate bene e abbiamo deciso di interrompere la collaborazione abbastanza precocemente. Trovo che questo frangente durato alcuni mesi ci abbia arrestato per certi versi, ma ci ha fatto crescere sotto il profilo umano, aumentando la coesione dei soci fondatori. Siamo comunque ovviamente legati a quei primi passi, per l’opportunità, derivante dai primi investimenti, di conseguire i primi fondamentali risultati della ricerca condotta fino a quel periodo. Oggi fortunatamente abbiamo incontrato un gruppo di piccoli imprenditori e professionisti, che sono entrati nella compagine sociale con le loro esperienze e competenze professionali determinando una migliore capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati, ritengo tuttavia, che il nostro principale problema sia rappresentato attualmente dalla difficoltà di intercettare condizioni convenienti per affrontare il secondo round di finanziamento che lo step di prototipo industriale richiede.
Esistono rischi di tipo igienico-sanitario?
Siamo davvero entusiasti dei risultati dei test microbiologici effettuati durante i protocolli sperimentali di bioconversione con le larve di Hermetia illucens, si tratta di una tecnologia in grado di abbattere alcuni tra i più comuni rischi igienico sanitari, come quelli rappresentati dai batteri patogeni tipo Salmonella enteritidis ed Escherichia coli, come hanno dimostrato alcuni studi condotti dal Prof. Antonio Camarda dell’Università degli Studi di Bari responsabile della Sez. di Patologia Aviare del Dipartimento di Medicina Veterinaria, inoltre l’utilizzo di Hermetia illucens per la conversione dei rifiuti organici o letami zootecnici inibisce la presenza e lo sviluppo dei ditteri infestanti e dannosi come Musca domestica, diminuendo sensibilmente i rischi igienico- sanitari connessi alla loro presenza. Esistono tuttavia alcuni rischi sanitari, in particolare rari fenomeni allergici connessi al consumo di proteine di insetto in persone allergiche ai crostacei come rilevato da Reese et al. nel 1999.
Quali sono i prodotti finali che pensate di ottenere dal processo di bioconversione?
Nel 2011 grazie alla collaborazione con la Prof.ssa Tantillo responsabile della Sezione di Sicurezza degli Alimenti del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Bari, abbiamo condotto alcuni test sulla biomassa larvale ottenuta dai processi di conversione ed abbiamo verificato quanto presente in letteratura negli studi anteriori, tale biomassa esiccata in fase di prepupa contiene in media il 36% di grassi, il 45% di proteine, il 14% di ceneri ed ancora un 5% di umidità, successivamente con la collaborazione del Prof. Ceci dell’omonimo dipartimento abbiamo determinato le frazioni acidiche della massa grassa riscontrando la presenza di discrete quantità di acidi grassi poliinsaturi. Successivamente con l’aiuto del dott. Giuseppe Coviello abbiamo determinato le variazioni qualitative degli acidi grassi presenti nella farina di prepupe di Hermetia illucens in funzione delle matrici reflue utilizzate dalle larve durante il loro accrescimento, con risultati entusiasmanti circa la presenza di acidi grassi interessantissimi sotto il profilo alimentare tra i quali i C18:n (mono e diinsaturi), i C20:n (mono e poliinsaturi) tra cui l’acido arachidonico ed infine i C22:n tra cui l’EPA. Nel 2012 abbiamo condotto alcuni studi preliminari, grazie all’aiuto del team del Prof. Suranna del Politecnico di Bari, sulla separazione della chitina dai pannelli di estrazione dei grassi ottenuti da farine di Hermetia illucens, processo con il quale intendiamo inoltre migliorare la digeribilità della frazione proteica nella nostra farina, come dimostrato da DeFoliart nel 2002. Il succitato team ha successivamente ottenuto chitosano da questa frazione, tuttavia ulteriori studi di ingeneria chimica sono necessari in questa direzione. Ad oggi le farine di insetto sono utilizzate nel settore della mangimistica “pet”, ma presto il loro uso invaderà il settore zootecnico e quasi certamente entreranno a far parte della dieta delle popolazioni occidentali. Consideriamo interessante l’utilizzo dei grassi presenti nella prepupa di Hermetia illucens sia per la produzione di alimenti animali sia per la produzione di biodiesel di alta qualità, come hanno d’altronde dimostrato alcuni ricercatori cinesi in un lavoro presentato su FUEL nel 2011. Infine, come accennato, sarà possibile ottenere chitosano da alcuni scarti della lavorazione delle larve stesse, una materia prima utilizzabile in diverse applicazioni che vanno dal campo medico a quello del food-packaging tecnologico passando per il settore della depurazione da metalli pesanti.
Nel caso delle farine di insetti per l’alimentazione animale, si sono rilevati livelli di accumulo di metalli pesanti potenzialmente pericolosi per la nostra salute –in quanto consumatori di carne- o per quella degli stessi animali allevati?
Al momento non abbiamo ancora riscontrato alcun accumulo di metalli pesanti nelle farine prodotte da insetti accresciuti su scarti alimentari o matrici assimilabili a “FORSU” , ma è anche vero che le matrici selezionate per l’accrescimento degli insetti provenivano da catene alimentari selezionate e pertanto prive o molto povere di questi polluttanti. Tuttavia sono ben noti i fenomeni di bioaccumulo dei metalli pesanti negli insetti ed i fenomeni di biomagnificazione nelle loro catene alimentari, pertanto ritengo che l’utilizzo di farine di insetto all’interno della catena alimentare umana debba seguire scrupolose norme di selezione delle matrici organiche destinate al loro accrescimento.
Quando prevedete di avviare effettivamente la fase commerciale del progetto?
Bioconversion intende commercializzare sistemi per la conversione ed il trattamento dei reflui organici attraverso l’uso di insetti e per questo sta affrontando un faticoso cammino nello sviluppo di una tecnologia del tutto innovativa in un contesto di crescente interesse per uno degli output di processo (le larve), per questo motivo riteniamo che nel giro di tre anni saremo realisticamente in grado di fornire i primi impianti di trattamento.
Tra quindici anni sarà normale anche in Europa trattare i rifiuti organici attraverso la mediazione degli insetti?
Non potrei continuare il mio lavoro se non fossi davvero convinto che gli insetti rappresentino il futuro del trattamento delle matrici organiche. Se si pensa al vantaggio tecnologico ed ambientale introdotto dall’avvento di queste tecnologie è facile immaginare che nel prossimo futuro i sistemi più energivori e più inquinanti per il trattamento dei rifiuti organici verranno rimpiazzati da sistemi in grado di valorizzare i processi stessi grazie alla mediazioni di un anello forte della catena alimentare del nostro pianeta gli insetti saprofagi.
In termini economici di massima, quanto ampio potrà essere questo mercato nel prossimo futuro?
Il rapporto annuale del CIC (Consorzio Italiano Compostatori) riferito ai dati consuntivi del 2012/2013 pubblicati da ISPRA conferma che “il settore industriale del recupero delle frazioni organiche continua nella fase sistematica di espansione, con una crescita media nell’ultimo decennio di quasi il 10% l’anno. Da quasi 2 milioni di tonnellate raccolte nel 2003 si è passati a oltre 5,2 milioni di tonnellate nel 2013”. Tenendo presente anche solo questi dati è facile immaginare quale sia la grandezza economica in ballo nella sola penisola italiana, stiamo parlando di mezzo miliardo di euro, esclusivamente riferibili ai guadagni derivanti dalla gestione di impianti di trattamento. Pertanto se si aggiungessero a queste grandezze economiche quelle derivanti dalla gestione dei sottoprodotti si supererebbe comodamente il miliardo di euro/anno nel solo mercato nazionale.
Suggerirebbe ad altri imprenditori di investire nel settore?
Assolutamente si, questo settore ha bisogno dell’imprenditoria ed ha molto da offrire a coloro che sapranno arrivare fra i primi nella conquista del mercato potenzialmente intercettabile dalle tecnologie innovative per la gestione degli scarti organici.