L’uso degli insetti quale possibile soluzione per ridurre lo spreco alimentare e favorire, al contempo, la produzione di nuovi materiali utili all’uomo. È uno degli esempi di economia circolare illustrati al convegno “Agroinsecta” che si è tenuto a Tortona, un momento di riflessione sulle sperimentazioni attualmente in atto nel mondo dell’entomologia.
Numerosi gli interventi, tra questi Marco Meneguz dell’Università di Torino, che ha mostrato i risultati dell’allevamento dell’Hermetia illucens su differenti substrati nutritivi. «La mosca soldato (Black Soldier Fly) è stata studiata per la sua capacità di ridurre grandi quantità di rifiuto organico», ha sottolineato il ricercatore, «data la sua voracità, l’elevata sostenibilità, il basso fabbisogno idrico e le minime emissioni di gas a effetto serra». L’Hermetia illucens è originaria del centro America e si è poi diffusa nelle aree temperato-calde del mondo. Non frequenta ambienti domestici, non si alimenta, vive 1-2 settimane e la sua larva ha un comportamento saprofago, ossia si ciba di materiale organico in stato di decomposizione. È stato osservato che alimentazione e genetica influenzano in modo pressoché equivalente la crescita delle larve per una quota pari, nel complesso, al 60 per cento. Altre variabili sono l’umidità, la ventilazione e la distribuzione della dieta. «Le larve di BSF accumulano elevate quantità di nutrienti durante la loro crescita e vengono apprezzate per il loro potenziale di produzione di ritrovati come farina proteica o grassi per l’alimentazione del bestiame», chiosa Meneguz, per il quale gli allevamenti di Hermetia illucens sono già una realtà in Olanda e presto lo diventeranno anche in Germania, con una superficie dedicata di 20 mila metri quadri.
A risultati analoghi ha condotto lo studio di Silvia Arnone dell’Enea, che si è concentrato sul processo di bioconversione dei fanghi di depurazione di acque reflue urbane mediata dalla larva della BSF. «Ogni anno in Italia si producono dai 3 ai 4 milioni di tonnellate di residui dai trattamenti depurativi», afferma la studiosa, «il 58,9 per cento dei quali viene recuperato in agricoltura come spandimento e compostaggio, mentre il restante 41,1 per cento deve essere smaltito, con un costo fino a 140 euro a tonnellata». I fanghi di depurazione delle acque reflue urbane sono costituiti per quasi due terzi da componente organica, ossia dal Forsu, la frazione organica di rifiuto solido urbano proveniente dalla raccolta differenziata, e per il resto da minerali e metalli contenuti in liquami, fanghi e digestato che, insieme, hanno formato il substrato di alimentazione delle larve. I risultati dello studio hanno dimostrato che le larve accettano il substrato alimentare e, quindi, conducono a una riduzione importante dello stesso. Da granuloso e ingombrante, questo diviene più fine e sottile e con un volume e una massa decisamente più ridotti. «Tutto questo consentirebbe di trattare i fanghi da acque reflue in modo ecologico ed economicamente vantaggioso, riutilizzando i decompositori per produrre derivati utili all’uomo», sentenzia la Arnone, «le prepupe hanno infatti una percentuale di proteine che oscilla tra il 32 e il 48 per cento, risultando appetibili per le farine nella mangimistica. Il resto è formato in gran parte da lipidi, tra il 30 e il 35 per cento, da minerali e chitina, sostanze adatte alla creazione di bioplastiche, biocarburanti avanzati e prodotti di cosmesi e farmaceutica». Attraverso il processo di bioconversione si ottengono, inoltre, deiezioni e residui che possono avere un elevato valore agronomico se utilizzati come ammendanti organici per favorire la crescita delle piante in agricoltura o nel florovivaismo.
Al convegno ha partecipato anche Lara Maistrello, Professoressa dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che ha illustrato i risultati di “Valoribio”, progetto multidisciplinare di economia circolare a partire da scarti della filiera agroalimentare. «In natura non esistono rifiuti e, quello che per noi umani è scarto, per altri organismi è un ottimo substrato su cui crescere e prosperare», esordisce la docente, «gli insetti occupano tutte le nicchie ecologiche ed è proprio tra i consumatori di piante o animali morti che si possono trovare gli alleati più insoliti per l’uomo: quelli utili per fare economia circolare». Anche la sua ricerca ha visto come protagonista l’Hermetia illucens, allevata, questa volta, a deporre le uova su un substrato di rifiuti organici, deiezioni di polli, acqua e la zeolitite, uno scarto di cava. «In un substrato organico eterogeneo, le larve dopo 15-20 giorni di crescita lo trasformano profondamente», afferma la Maistrello «facendo diminuire del 60 per cento i cattivi odori, la carica batterica e la massa secca». La professoressa, poi, elenca gli usi applicativi della sua ricerca: «dai lipidi si può ottenere biodiesel, dalla chitina prodotti biomedicali e nutraceutici, dalle proteine bioplastiche che, degradandosi, rilasciano azoto nel terreno». Inoltre, dalla combinazione di lipidi e proteine si ottengono sostanze per usi agricoli con scopi mangimistici e il substrato si trasforma, combinato alla zeolitite, in compost a elevata prestazione, cioè un residuo organico ammendante utile per concimare le piante.
Un contributo importante è stato portato, infine, da Ferdinando Baldacchino dell’Enea, che ha esposto i risultati della sua ricerca, questa volta, sul Tenebrio molitor, la tarma della farina, allevata su un substrato composto da sottoprodotti dell’industria agroalimentare. «L’eterogeneità dei sottoprodotti porta a una differente composizione nutrizionale», afferma il ricercatore, per cui «la loro valorizzazione passa attraverso la formulazione di diete ottimali, che consentano l’ottenimento di prodotti finali arricchiti in sostanze nutraceutiche». Per Baldacchino, le farine prodotte da insetti rappresentano, a fini mangimistici, un’alternativa alla farina di soia nell’alimentazione avicola. Tuttavia, è stato ricordato, al momento il loro uso è ammesso solo per l’alimentazione delle specie ittiche o per gli animali che non entrano nella catena alimentare dell’uomo. «Lo sviluppo di allevamenti industriali può valorizzare i sottoprodotti dell’industria agroalimentare in un’ottica di economia circolare e produrre proteine alternative, come gli integratori proteici, con minore impatto ambientale rispetto alla carne», chiosa lo studioso, secondo cui «i problemi legati all’allevamento industriale riguardano il cannibalismo, la riduzione dell’efficienza e della conversione del cibo, il minore peso larvale e una minore progenie per femmina».
Sono risultati incoraggianti, specie nell’ottica di un’economia sostenibile e rispettosa dell’ambiente, che sappia recuperare e valorizzare gli scarti umani, facendoli diventare prodotti efficienti e a basso costo per differenti processi industriali.
Giuseppe Di Eugenio